Negozi, uscita costosa dalla cedolare ma per i vecchi affitti restano gli sconti

Un aggravio annuo che parte da svariate migliaia di euro, a seconda dell’aliquota marginale Irpef, ai quali occorre aggiungere l’imposta di registro del 2% che per metà è a carico del proprietario (si vedano gli esempi in pagina). Questo è il costo della mancata proroga della cedolare del 21% sugli affitti commerciali dei locali accatastati come C1, di superficie non superiore a 600 metri quadrati. Una decisione che peserà sul già depresso mercato di negozi e botteghe, che chiudono uno dopo l’altro. La decisione di lasciarlo “affondare” è stata presa da Governo e Parlamento (l’agevolazione è durata un solo anno, il 2019) nonostante l’impegno di Confedilizia, che sino all’ultimo si è battuta per la proroga, incassando almeno la messa a regime dell’altra cedolare, quella del 10% sugli affitti concordati per il residenziale.

Va subito detto – peraltro – che questa decisione non incide sui contratti già stipulati nel 2019 che possono restare in cedolare sino alla loro scadenza, naturale o prorogata che sia, come si vede anche dai quesiti pubblicati qui a sinistra.

Sconto per un anno, ma effetti prolungati
Con l’articolo 1, comma 59, della legge 145/2018 era stata introdotta la possibilità per i proprietari di optare per la cedolare secca del 21% con riferimento a contratti di locazione commerciale. Lo sconto riguardava gli affitti di locali con categoria catastale C1 – ovvero negozi e botteghe -, di superficie non superiore a 600 metri quadrati, e relative pertinenze.

La scelta della cedolare commerciale è stata possibile solo per i contratti stipulati nel corso del 2019. Ne consegue che, comunque, possono ancora fruire dell’agevolazione gli affitti sottoscritti o prorogati entro il 31 dicembre 2019 a valere dal 1° gennaio 2020. Come pure continuano a beneficiare della cedolare le locazioni per le quali si è già esercitata l’opzione nel corso del 2019 per tutte le annualità future, sino alla scadenza del contratto, naturale o prorogata che essa sia. Nulla vieta, infine, che una locazione commerciale stipulata nel 2019 e inizialmente in regime di Irpef migri verso la cedolare a decorrere da una qualsiasi delle successive annualità contrattuali (per esempio, nel 2021).

A decorrere, invece, dai contratti di locazione commerciale stipulati nel 2020 il regime sostitutivo non è più previsto e si ritorna, per così dire, all’antico. L’impianto originario della cedolare, come delineato nella disciplina di riferimento (articolo 3 del Dlgs 23/2011), riguarda infatti esclusivamente le locazioni di unità immobiliari classificate in una categoria catastale abitativa, con esclusione della categoria A10 (uffici).

I vantaggi della cedolare
La cedolare secca rappresenta un’imposta sostitutiva sulle locazioni abitative. L’aliquota di base è il 21% che tuttavia scende al 10% per i contratti di locazione a canone concordato (si veda il servizio pubblicato qui sotto). La cedolare sostituisce l’Irpef e le relative addizionali (comunali e regionali) sui redditi fondiari nonché l’imposta di registro e di bollo sui contratti di locazione. Diversamente da quanto previsto ai fini Irpef, inoltre, si applica sull’intero canone di locazione pattuito in contratto, senza alcun abbattimento forfettario.

Come si vede dagli esempi pubblicati qui sotto, il vantaggio economico garantito dal regime sostitutivo non era indifferente. Prendiamo il caso di un negozio in zona Repubblica a Milano, semicentrale in zona abbastanza pregiata: la perdita fiscale del proprietario è pesantissima, praticamente il peso fiscale è ben più che raddoppiato. Come? Trattandosi di un proprietario abbiente (con già 75mila euro di reddito da altre fonti) l’aliquota Irpef è del 43% (sul 95% del reddito da locazione). Discorso analogo per l’addizionale regionale (l’aliquota è dell’1,74%) e comunale (aliquota dello 0,8%). Se aggiungiamo l’1% di imposta di registro (500 euro) e 16 euro di bollo arriviamo a oltre 23mila euro di tasse.

La cedolare «commerciale»
Regole speciali valevano però per la cedolare sui contratti di locazione commerciale. Regole che conviene comunque riepilogare nel caso in cui sia stato stipulato un contratto di affitto per negozi e botteghe che, come abbiamo visto sopra, può comunque applicare la cedolare secca fino a scadenza.

In primo luogo l’unica categoria catastale ammessa è la C1 (negozi e botteghe). Ne consegue che non sono ammesse al regime sostitutivo, tra gli altri, gli uffici (A10), gli alberghi (D2) e i laboratori (C3). Fanno fede le risultanze al catasto.

Era possibile optare per la cedolare in relazione alle pertinenze del fabbricato C1, a prescindere dalla categoria catastale di appartenenza: sconto ammesso ammesso, ad esempio, per unità destinate a deposito o magazzino (categoria C2). Purché, però, la pertinenza sia stata locata congiuntamente al bene principale o, in caso di contratti di affitto separati, che l’esistenza del vincolo pertinenziale venisse menzionato nel contratto relativo all’unità secondaria.

La qualificazione di pertinenza, ai sensi degli articoli 817 e seguenti del Codice civile, presuppone che l’immobile sia adibito a servizio o ornamento del bene principale.

L’affito deve riguardare un fabbricato C1 non superiore a 600 metri quadrati, escluse le pertinenze. Quindi, ad esempio, l’opzione per la cedolare era ammessa per un fabbricato C1 di 500 metri quadrati e due pertinenze (magazzini) di complessivi 300 metri quadrati.

Indifferente, era, infine, il fatto che l’inquilino fosse un imprenditore (società o ditta individuale).

di Luigi Lovecchio

il sole 24ore

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